Visti dalla Svezia. Parla chi conosce davvero la pubblicità dell’azzardo

È sicuramente il ricercatore che, in Europa, ha studiato più di tutti l’influenza della pubblicità sul gioco d’azzardo. E dopo la ricerca con la quale, tre anni fa, aveva rilevato che i messaggi pubblicitari spingono a giocare di più ma non hanno alcun effetto sui giocatori patologici, alla 12a conferenza dell’Easg che si è svolta a Malta lo scorso settembre, Per Binde, dell’Università di Gothemburg, ha portato gli aggiornamenti e gli approfondimenti di quella ricerca. A cominciare dalla distinzione tra i diversi tipi di pubblicità: convenzionale (spot televisivi, spazi su giornali e riviste, banner su siti web) visibile a tutta l’audience di un media; diretta (e-mail o sms pubblicitari o perfino lettere cartacee con messaggi pubblicitari); contestuale (messaggi all’interno di trasmissioni di eventi sportivi, sia su tv che su web, smartphone e altri canali digitali, e promozioni specifiche, come bonus, jackpot e simili).

“Quella contestuale,
come i bonus e i jackpot,
può funzionare.
Le altre pubblicità
non influiscono sul giocatore”

È quest’ultimo tipo di pubblicità, di solito legata alle scommesse sportive, a risultare più efficace secondo le rilevazioni di Per Binde. E i giocatori del campione tenuto sotto osservazione hanno detto di essere stati spinti a giocare più di quello che avevano programmato o che, comunque, fossero disposti a spendere. Un risultato che conferma anche altre ricerche condotte in Danimarca, Germania e altri Paesi.

Ma la ricerca di Binde rileva anche un particolare: i giocatori che si sono posti un limite prefissato, hanno detto di averlo superato proprio sotto lo stimolo della pubblicità.

“Solo il 2% dei giocatori
ha dichiarato di essere stato
condizionato dalla pubblicità”

La pubblicità di tipo convenzionale, invece, è risultata quasi del tutto ininfluente: solo il 2% del campione ha dichiarato di avere subito frequenti condizionamenti della pubblicità. Per gli altri, la pubblicità è servita solo per rafforzare o far conoscere il brand di un operatore, ma non per fare spendere più del solito.

Le risposte di Per Binde alle domande di MoncadaTalk

Ha sentito del divieto totale che l’Italia ha deciso di applicare alla pubblicità del gioco d’azzardo?
Sì certo, è una notizia di cui si è parlato nel nostro ambiente.

Per quel che ne sa, ci sono esperienze analoghe in altri Paesi?
Non mi risultano dei divieti totali, anche se più o meno dappertutto la pubblicità del gioco è sottoposta ad alcuni vincoli

Anche in Svezia?
La situazione svedese è diversa perché abbiamo un monopolio, quindi lo Stato è normale che faccia della comunicazione commerciale non aggressiva.

E lei come considera questo provvedimento drastico preso in Italia?
L’obiettivo del divieto è quello di ridurre il gioco patologico?

Sì. Si pensa che la pubblicità possa aumentare il problemi di dipendenza.
Penso all’esperienza svedese dove le slot machine e le vlt non fanno alcun tipo di pubblicità. Ma i problemi di dipendenza vengono proprio da quei giochi. Poi abbiamo il gioco illegale, soprattutto di slot machine.

“In Svezia non si può fare
pubblicità alle slot.
Eppure i giocatori patologici
li abbiamo anche noi”

Intende macchine fisiche o slot on line?
Entrambi, il gioco illegale lo troviamo in entrambe le realtà. Anche se al giorno d’oggi vediamo che i giocatori si stanno spostando progressivamente dalle macchine fisiche al gioco su mobile, dove sono ampiamente disponibili anche le slot machine virtuali.
In ogni caso, non si può fare pubblicità per nessuna delle due tipologie di gioco. Eppure i giocatori patologici li abbiamo anche noi. Così come ci sono in tutti quei contesti dove la pubblicità è vietata.

Per il ricercatore svedese Per Binde, il gioco va studiato dal punto di vista antropologico. Molti risultati delle sue ricerche si trovano sul sito https://ongambling.org/

Ma è ancora vero che la pubblicità non incide sull’aumento del gioco patologico?
Non necessariamente, non c’è una relazione diretta. Quello che vediamo in Svezia, in questo momento, è che con la diffusione del gioco on line, la pubblicità vera e propria non ha alcuna influenza perché i giocatori vengono raggiunti direttamente anche su mobile.

Un altro intervento del tutto italiano è il cosiddetto “distanziometro”, cioè il divieto di svolgere attività di gioco nelle vicinanze di luoghi come scuole, chiese eccetera. Come considera questa misura preventiva?
Non mi pare che esista da nessun’altra parte. E quindi non abbiamo alcuna prova che questa cosa possa funzionare o non funzionare. Ma si tratta di decisioni politiche che non devono necessariamente avere delle prove sull’efficacia di una loro iniziativa.

“Le decisioni politiche non devono
necessariamente avere
delle prove sulla loro efficacia”

Si può fare un raffronto tra il rischio di dipendenza da gioco e quello delle altre dipendenze, come alcool o droghe?
È difficile fare un confronto perché si deve valutare non tanto la cosiddetta prevalenza, cioè l’incidenza percentuale sulla popolazione, di un fenomeno quanto, piuttosto, l’entità dei problemi che provoca. Nel caso del gioco, una dipendenza provoca problemi direttamente alla persona e solo indirettamente all’ambiente circostante, come la famiglia. Se invece prendiamo l’alcool, una persona ubriaca diventa pericolosa non solo per sé stessa ma anche per chi gli sta intorno e perfino per gli oggetti, perché può diventare violenta e picchiare o distruggere chiunque e qualunque cosa gli capiti a tiro.

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