Il gambling nel mondo: l’Italia a confronto con gli altri

Aritmetica senza frontiere:
come confrontare le cifre del gambling 

Si possono fare paragoni tra i vari Paesi del mondo nell’ambito del gioco d’azzardo?

Si possono confrontare spesa, abitudini dei giocatori, leggi italiane con il resto d’Europa, con gli Stati Uniti, con l’Estremo Oriente… ?
Possiamo provarci. Ma facendo molte approssimazioni.
Per 2 ragioni:
a) in ogni Paese, i dati sul fenomeno gambling vengono rilevati in modo diverso e non sempre con la stessa accuratezza;
b) le leggi, oltre a essere ovviamente diverse da Paese a Paese, usano categorie non sempre confrontabili.

Per capire meglio, partiamo proprio dal giocatore italiano: il suo comportamento è simile a quello degli altri europei? Spende di più o spende di meno? Ha le stesse preferenze in fatto di giochi? 

Il primo dubbio riguarda la spesa.

Per l’Italia, l’Adm (Agenzia Dogane e Monopoli) fornisce periodicamente le cifre di quanto gli operatori raccolgono (le puntate), quanto pagano in vincite e quanto pagano in tasse. Quindi, è abbastanza facile ricavare un dato statistico medio dividendo la spesa effettiva per il numero di giocatori potenziali, ovvero tutti i maggiorenni.

All’estero, però, non esiste un organismo statale che faccia queste rilevazioni. Quindi, i dati di spesa si possono ricavare solo dai bilanci degli operatori dove la voce costante è quella dei ricavi. E, affidandoci alle stime degli esperti, possiamo ricavare che per ogni 100 dollari guadagnati da un operatore di gioco, i suoi clienti (i giocatori) avranno puntato circa 900 dollari e perso circa 180 dollari.

I dati disponibili su quanto gli operatori ricavano da ciascun Paese dicono che l’Italia è al quarto posto dopo Stati Uniti, Cina e Giappone.


Global gambling gross win in 2013, by country (in billion U.S. dollars)

Rispetto agli Usa, la distanza è notevole, ma non del tutto proporzionata alla popolazione: 74,39 mld $ gli Usa (325 mln di abitanti) e 14,91 mld $ l’Italia (60,5 mln di abitanti). In mezzo, la Cina con circa 48 miliardi e il Giappone con quasi 20 miliardi. Le cifre sono al netto di payout e tasse (GGR>Gross gambling revenues).

Facendo un calcolo molto approssimativo, cioè senza distinguere tra bambini e adulti, ciascun cittadino statunitense fa guadagnare agli operatori 228 dollari mentre ogni italiano porta nelle loro casse 247 dollari.

Non avrebbe molto senso fare dei confronti con la Cina, dove il gioco è in realtà proibito con la sola eccezione delle lotterie statali e di alcune scommesse, anch’esse gestite dalle autorità centrali. Inoltre, la vastità del territorio e le differenze tra una regione e l’altra rendono 

 

poco significativo un calcolo del genere. Ma se proprio vogliamo giocare con i numeri, facciamo un confronto aritmetico: il ricavo degli operatori ammonterebbe a quasi 29 dollari per ciascun abitante della Repubblica popolare cinese (i cittadini cinesi sono in tutto 1,385 miliardi).

Più significativo il dato sul Giappone: i 20 miliardi di ricavi, suddiviso tra i 126,77 milioni di abitanti, porta a una cifra di quasi 158 dollari a testa.

LA DIFFERENZA DELL’ON LINE

L’unico segmento sul quale si può disporre di dati abbastanza dettagliati, paragonabili a quelli italiani, è il gioco on line. Ma la sua incidenza sul totale del gambling è ancora abbastanza limitata: si parla di un 10% circa a livello mondiale (dato del 2015).

In questo settore, ovvero il cosiddetto “gioco a distanza”, l’Italia risulta decisamente indietro rispetto alla media mondiale: l’ultima rilevazione del Politecnico di Milano indica il 5,4% come incidenza della spesa on line rispetto al totale del gambling (la spesa è ciò che rimane dopo aver tolto il payout).

Il dato è sicuramente da rettificare tenendo conto del sommerso che si stima essere molto alta proprio perché in Italia il gioco on line è molto regolamentato e i giocatori trovano più conveniente collegarsi a siti esteri irregolari. D’altra parte, crescite del 25% in un solo anno (come quella che si è registrata nel 2016) si spiegano solo con l’emersione del sommerso, magari per l’introduzione di un gioco nel sistema regolamentato o per una modifica normativa che ha reso il gioco on line regolamentato più competitivo rispetto al cosiddetto “.com”.

E che il gioco on line sia difficilmente rilevabile lo conferma un dato recente proprio sulle scommesse negli Usa, dove le occasioni per scommettere legalmente sono davvero poche. Un dato divulgato proprio in questi giorni rivela che gli statunitensi puntano sulle scommesse sportive illegali ben 196 miliardi di dollari. Quindi, il mercato illegale delle scommesse sportive rappresenta il 97% dell’intero mercato Usa del betting.

TRA GIOCO E GIOCO

Questi sono i dati complessivi che sommano insieme tutti i giochi. Ma i veri protagonisti del gambling mondiale sono, di fatto, due: slot machine e scommesse. Cioè, sono questi due i giochi che movimentano la maggior parte del denaro in tutto il mondo. Ma con delle differenze sostanziali che riguardano soprattutto payout e ricavi.

Guardando i dati mondiali del gambling, quindi la cifra di 441 miliardi di dollari per il 2014 (>>>), vediamo che i giochi da casinò e “altri giochi” (per entrambe le voci il grosso è costituito dalle macchine da divertimento), rappresentano il 40% e le scommesse il 36%. >>>

Se ci fermiamo al solo on line, le scommesse sportive arrivano addirittura al 48% mentre i giochi da casinò, che comprendono le slot, rappresentano appena il 24%.

Questo sempre per quel che riguarda i margini, perché i dati sulla raccolta nel mondo sembra che non esistano.

E GUARDIAMO LE SCOMMESSE

Margini che, comunque, per le scommesse sembrano crescere in maniera significativa: per il 2013, si sono calcolati in tutto il mondo ricavi lordi per più di 76 miliardi di dollari. Ma per fine 2017 (manca il dato del 2016), si dovrebbe registrare un balzo a 91 miliardi!

Tassi di crescita analoghi per l’Italia, dove si ragiona per “raccolta” prima che per ricavi: le scommesse hanno registrato nel 2016 puntate per 8,67 miliardi di euro. 10 anni prima erano stati 2,58 miliardi.

Il dato della raccolta, d’altra parte, è poco indicativo dal punto di vista dell’azienda, perché spesso non è proporzionale ai ricavi.

La dimostrazione è in una rilevazione delle TOP 6 tra le compagnie di betting nel mondo nel 2015: CHI RACCOGLIE DI PIU’ non è affatto CHI GUADAGNA DI PIU’!

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