Pubblicità del gioco: un tesoretto con troppi proprietari.

Il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo introdotto con un decreto del 2018 ha inciso sui bilanci degli operatori. Sicuramente, facendo risparmiare loro le cifre che avevano destinato alla comunicazione commerciale, dall’altro riducendo le possibilità di farsi strada tra i concorrenti e crescere sul mercato. Un operatore rischia di non avere nemmeno il risparmio, visto che i Monopoli gli hanno chiesto di versare loro la cifra che avevano destinato a questa voce.

La richiesta è arrivata a Sisal, concessionaria del SuperEnalotto e di altri giochi numerici in esclusiva: Lotto, 10eLotto e MillionDay, oltre a SuperEnalotto e altri che sono giochi a totalizzatore. Ed è proprio il contratto di concessione che imponeva alla società di spendere una certa cifra per promuovere quei giochi. In pratica, l’esatto opposto di quello che stabiliva il divieto di tre anni fa: per la concessione, bisognava spingere gli italiani a giocare di più, in modo da aumentare gli introiti del Fisco; il decreto del 2018 dichiarava l’obiettivo di diminuire la spesa degli italiani nel tentare la fortuna.

Stiamo parlando di una cifra non proprio insignificante: 24,3 milioni di euro. E la Sisal si è subito rivolta al Tar del Lazio ottenendo una “sospensiva d’urgenza”. Il giudice, però, concedendo di aspettare che la vicenda venga discussa dal Tribunale, ha comunque chiesto di versare la metà come deposito. Segno che nutre parecchi dubbi su chi possa avere ragione. Sisal e Adm (Agenzia Dogane e Monopoli), quindi, dovranno prevedibilmente aspettare un anno o poco meno per potere avere la sentenza, almeno quella di primo grado.

È facile, comunque, immaginare quali potranno essere le motivazioni dell’una e dell’altra parte.

Il presupposto dell’Adm potrà essere che la gestione del gioco è per legge riservata allo Stato, anche se lo Stato sceglie di affidarlo temporaneamente in concessione a degli operatori privati. Tant’è che, per esempio, le vincite non riscosse non rimangono nelle casse del concessionario ma vanno allo Stato.

Lo stesso ragionamento, volendo, si potrebbe applicare alla pubblicità. Si tratta di un investimento fatto per consentire la raccolta. Di conseguenza, se diventa impossibile fare pubblicità, le somme risparmiate spettano allo Stato.

Se, però, ci mettiamo nei panni di Sisal, questa richiesta diventa la beffa che si aggiunge al danno: dopo avere investito in un’attività che viene svolta per conto dello Stato contando anche sulla sua promozione, si ritrova a vedersi ridurre gli introiti e, inoltre, a dovere dare allo Stato i soldi che erano destinati alla promozione.
Per capire il peso di questa cosa basta pensare che a metà febbraio il jackpot del SuperEnalotto è arrivato alla cifra record di 111.5 milioni, ovvero il settimo premio più alto che questo gioco abbia mai messo in palio. Qualche messaggio pubblicitario potrebbe recuperare dei giocatori non abituali che sarebbero attratti dalla cifra consistente. Ma il divieto lo impedisce. E questo vuol dire minori introiti per il concessionario, oltre che per lo Stato.

Qualcuno si è spinto anche oltre in questo ragionamento e ipotizza che Sisal potrebbe addirittura chiedere un risarcimento allo Stato, visto che il divieto di pubblicità è stato introdotto quando la concessione era già avviata e modificava in maniera significativa i termini del contratto.

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