Anche le donne azzardano. In tutto il mondo.

Non è vero che le donne hanno poca voglia di giocare. E, soprattutto, non è vero che non giocano.

Ne hanno parlato a Malta lo scorso 14 settembre, a conclusione della 12a conferenza della Easg, European association for the study of gambling, si è tenuta una tavola intitolata “Prima le donne! Cosa c’è di nuovo nell’approccio terapeutico e nella ricerca sulla patologia da azzardo nelle donne”.

Come tutti gli incontri dell’Easg, per i quali si sono ritrovati a Malta circa 350 tra terapeuti, ricercatori, operatori di gioco e responsabili delle autorità di regolamentazione, è stato un incontro internazionale. Ma a moderare la tavola rotonda è stata l’italiana Fulvia Prever, psicoterapeuta del servizio sanitario da 35 anni e che nel tempo libero coordina da otto anni un gruppo di terapeute volontarie impegnate nell’assistenza alle donne con problemi di dipendenza da gioco. Il suo impegno nell’approfondimento concreto di questo argomento è dimostrato anche dal libro che ha pubblicato di recente: “Gambling disorders in women”, nel quale 20 specialiste di 20 Paesi diversi hanno descritto, sinteticamente, il rapporto delle donne con il gioco nella propria realtà.

 

“Anche se sono in numero inferiore rispetto agli uomini, le donne giocano e spesso sviluppano problemi di dipendenza, e in modo molto più rapido che negli uomini. Problemi che sono anche più pesanti per varie ragioni, a partire dal fatto che è più difficile per loro ammetterlo ed è raro che si rivolgano a un servizio per le dipendenze. Più facilmente andranno in un consultorio familiare. Ma, soprattutto, di solito non sono disposte a parlare dei propri problemi davanti a un uomo, neanche se si tratta del terapeuta”.

Quindi, voi siete riuscite a conquistare la loro fiducia proprio perché siete delle terapeute donne?
Non solo. Abbiamo chiesto ospitalità a una parrocchia, dove le donne vanno e vengono per le ragioni più disparate, quindi non c’è la sensazione di essere etichettate se qualcuno le vede, come invece temono che possa succedere in un Sert. Abbiamo scelto di fare una terapia di gruppo, che si è rivelata una scelta efficace perché le donne sono più pronte degli uomini a parlare dei propri problemi con altre donne.

Qual è la differenza principale con gli uomini che hanno lo stesso problema?
La cosa più evidente è che con le donne non parliamo di gioco. Ne parliamo, pochissimo, all’inizio. Ma poi andiamo subito a tirar fuori i veri problemi che ci sono dietro.

Questo, però, è un tratto comune a tutte le dipendenze, no? Sia per gli uomini che per le donne.
È vero ma gli uomini si concentrano molto sulle strategie del gioco, su come pensano di praticarlo o di ridurre la frequenza e così via. Le donne, passano subito a parlare della propria vita, dei propri disagi. Spesso si tratta di problemi con i loro compagni, di mancanza di attenzione, di violenza, anche verbale; ma per tantissime è anche solo un momento di difficoltà per dovere gestire tanti contesti diversi, dalla casa ai figli al lavoro.

Quando il gioco è l’alternativa ad alcool e ansiolitici

Quindi, per le donne si tratta della classica fuga dai problemi quotidiani? E quando il gioco non era così a portata di mano cosa facevano?
Possiamo dire che in molti casi il gioco, per le donne, ha sostituito gli ansiolitici. Anche se costa un po’ di più. Ma anche l’alcool è diffuso, che però è meno accettato socialmente per una donna.

E il gioco non è visto come un’attività deprecabile?
Non del tutto. Per esempio, una donna che va al bar, magari con il nipotino che è andata a prendere a scuola, si siede a prendere un cappuccino e magari fa qualche gratta e vinci. E le slot, come i gratta e vinci, sono attività che aiutano a non pensare. Inoltre, i gratta e vinci, si presentano come innocui.
Poi c’è il bingo, che si presenta come una tradizionale tombola ma in realtà ha dei ritmi frenetici che possono farti perdere il controllo. E comunque, è vissuto come un luogo di socializzazione. Ma nell’esperienza del nostro gruppo sono tante le donne che vorrebbero un sistema di autoesclusione.

Proprio nella sala bingo?
Sì, come nei casinò: loro vorrebbero poter dire all’ingresso che sono in trattamento per l’azzardo patologico e che bisogna impedire loro di entrare a giocare. Se si potesse applicare questo sistema, naturalmente valido poi in tutte le sale per evitare che il giocatore patologico poi si trovi subito un’alternativa, sia pure dall’altra parte della città.

Il gioco femminile, al Sud è ancora un tabù

La vostra esperienza di gruppi terapeutici per donne è limitata a Milano. Ma non pensa che ci possano essere delle differenze culturali, se si passa da una metropoli a un piccolo centro, dal nord al sud e così via?
Certo, sicuramente una donna che vive a Milano ha la possibilità di scegliere, quindi può anche avere delle alternative al gioco nel momento in cui ha bisogno di compensare alcuni problemi familiari o di altro genere. Ciononostante, i nostri gruppi vanno avanti da otto anni e non siamo mai andati deserti. Anche perché tra le scelte rimane l’opzione gioco: e per una donna a Milano non c’è niente di strano ad andare in un bar e farsi qualche partita con la slot.
Al Sud, per esempio, è già più difficile che vada nelle sale giochi, che sono posti frequentati quasi esclusivamente da uomini. Ma il suo bisogno di riscatto è ancora maggiore. E allora sceglie dei giochi meno appariscenti, come il gratta e vinci che si può portare a casa e consumare in privato.
Se invece facciamo un po’ di analisi di tipo sociale e culturale, devo dire che nella nostra esperienza abbiamo visto donne appartenenti a qualsiasi ceto e a qualsiasi etnia. Non mancano le signore benestanti, che magari giocano per una rivalsa sul marito, il quale pur di evitare problemi pagherà tutti i suoi conti; ma anche la badante, che non guadagna certo molto ma non ha nemmeno molte occasioni di socializzazione. Quindi, perfino il bingo può diventare per loro un’opportunità quasi mondana. Con i rischi che ne conseguono.

Il rifugio del gioco on line: lì nessuno ti giudica!

Ma se per una donna ci sono tanti problemi a giocare, dal punto di vista sociale, come mai non preferiscono quello on line?
Il gioco on line tra le donne è in crescita. Naturalmente, sono quelle più giovani, tendenzialmente non oltre i 30-40 anni. E le donne giocatrici sono quelle che hanno superato i 50 anni. Ma bisogna dire che in Italia c’è una preferenza generale per il gioco fisico a tutti i livelli, sia uomini che donne.

 

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