Il banco perde! Anzi, ha già perso.

Questa volta, è proprio il casinò a dichiarare fallimento. È successo a Campione d’Italia, dove dal 27 luglio scorso le porte della casa da gioco sono chiuse e i lavoratori a spasso. Ma la crisi non risparmia gli altri casinò italiani. E qualcuno teme che la cosa possa ripetersi. Mentre per l’exclave italiana in Svizzera, si chiede l’intervento pubblico.

Uno dei quattro casinò italiani, quello di Campione d’Italia, è stato dichiarato fallito dal tribunale di Como e ha mandato a casa i circa 500 dipendenti. Lavoratori che, insieme a tutti i circa 2mila abitanti del piccolo centro, chiedono a gran voce di trovare una soluzione per riprendere l’attività. Altrimenti non sarà la fine di una casa da gioco ma di un intero paese.

Ma della crisi dei casinò italiani si parla da tempo. Più o meno da quando in Italia sono state legalizzate le slot machine (awp e vlt) che sembrano avere tolto clientela ai casinò tradizionali proponendo sotto casa gli stessi giochi per i quali una volta bisognava andare a Sanremo, Venezia, Saint Vincent o, appunto, Campione.

L’associazione che riunisce questi quattro casinò, la Federgioco, si è unita al coro di lavoratori che chiedono un intervento delle autorità.

Ma di quali autorità?
Chi potrebbe intervenire per riaprire le porte di Campione?
E sarebbe poi giusto investire soldi pubblici per salvare il gioco d’azzardo?
Ecco come risponde a queste domande Olmo Romeo, presidente della Federgioco dallo scorso aprile.

 

Domanda. Partiamo dal casinò di Campione d’Italia: per quale motivo è fallito? È davvero responsabilità delle slot e degli altri giochi che si sono diffusi sul territorio?

Risposta. Il motivo principale è dovuto al dissesto finanziario. Non c’è dubbio che negli ultimi 10 anni il mercato è cambiato e si è dimezzato il fatturato di tutt’e quattro le case da gioco italiane. Campione, evidentemente, ha subìto questo cambiamento più di altri per tanti motivi.

D. Al Comune era stato chiesto di intervenire. Ma, a sua volta, anche il Comune è in dissesto finanziario. Ora, se il casinò è stato creato proprio per dare stabilità economica al Comune, e sono entrambi in difficoltà finanziarie, allora forse questa formula non funziona.

R. È un po’ un circolo vizioso, per cui è abbastanza naturale che condividano uno stato di crisi. Io ho incontrato il sindaco due settimane fa a Campione dove avevo appositamente convocato un direttivo straordinario di Federgioco. Sembrava che ci fossero ancora gli spazi per evitare il peggio e, con questa iniziativa, abbiamo voluto dare un segno di vicinanza anche nei confronti dei lavoratori, oltre che dei cittadini.

D. Ma concretamente cosa si può fare?

R. Io già al momento del mio insediamento, tre mesi fa, avevo chiesto un incontro con il ministro dell’Interno, Salvini. Che è il nostro ministro di riferimento, a differenza di tutte le altre attività di gioco.

Ora questo incontro è diventato quanto mai urgente. Questa di Campione, se riuscirò a incontrarlo, sarà la prima delle problematiche che metterò sul tavolo.

Ma ho chiesto anche appuntamento ai ministri Di Maio, Lavoro e sviluppo economico, e Tria, Economia. Anche i sindacati hanno chiesto di essere ascoltati dai vari ministri. Ma finora nessuno ci ha risposto.

D. Anche gli altri tre casinò hanno avuto diversi problemi economici. Adesso in che situazione si trovano?

R. Venezia sta andando bene e a Sanremo, che conosco meglio perché sono nel consiglio d’amministrazione, abbiamo presentato una semestrale con un utile di 1,200 milioni ante imposte. Ci sono problemi a Saint Vincent, dove è appena cambiato il Governo regionale che speriamo voglia affrontare la situazione: c’è un piano di risanamento dei debiti che prevede un sostegno della Regione di 6 milioni.

Ma il mio cruccio è quello di risolvere un problema che pesa sulla gestione dei casinò: il contratto collettivo di lavoro. È un obiettivo che mi sono posto appena eletto presidente di Federgioco e che considero prioritario perché bisogna partire dai lavoratori per poi intervenire sulla gestione delle risorse.

D. Scusi, voi chiedete un contratto unico mentre attualmente ogni casinò ha con i propri dipendenti un contratto di lavoro differente: è il contrario di quello che succede in tutti gli altri settori, dove gli imprenditori vorrebbero invece una contrattazione libera con i propri dipendenti e i sindacati insistono per avere contratti di lavoro nazionali. Forse perché i dipendenti dei casinò sono riusciti a strappare, negli anni d’oro, condizioni particolarmente favorevoli che un contratto collettivo rischierebbe di appiattire?

R. Guardi, se non riusciamo a operare tutti in modo uniforme, avremo sempre degli interventi a macchia di leopardo. E la situazione che oggi registriamo a Campione, magari tra 10 anni potremo averla in un altro casinò che oggi sembra andare bene. Si tratta di intervenire in modo coordinato per garantire la sopravvivenza di tutti. Naturalmente, io so bene che alcune differenze bisognerà mantenerle perché sono lo specchio di situazioni oggettivamente diverse e devono essere oggetto di contrattazione locale. Ma dovremo arrivare ad avere un impianto generale uguale per tutti. E i sindacati mi sono sembrati molto aperti ad affrontare questo percorso.

D. Può fare un esempio?

R. A Sanremo abbiamo un reparto unico per i giochi, mentre negli altri casinò distinguono i singoli giochi (chemin de fer, roulette, giochi francesi…) e gli addetti di sala vengono assegnati alle diverse categorie.

D. Quindi, se un dipendente è assegnato a un settore della sala, la direzione non potrà chiedergli di lavorare a un tavolo diverso. E questo comporta delle difficoltà nel comporre i vari turni.
Ma viene anche da chiedersi se, tra le varie disfunzioni che si sono accumulate nel corso dei decenni, non ci siano anche degli organici un po’ eccessivi. Per esempio: è normale avere 500 dipendenti per un casinò, come nel caso di Campione?

R. Assolutamente sì, se hanno avuto quel numero di dipendenti vuol dire che erano funzionali all’attività.

D. Quindi, anche gli altri casinò, italiani e stranieri, hanno degli organici di queste proporzioni?

R. Non si può fare un confronto perché ogni situazione è differente. C’è già differenza con l’estero, dove le case da gioco sono in genere di proprietà privata. Questo vuol dire che la gestione punta essenzialmente al profitto, mentre in Italia dobbiamo tenere conto anche delle ricadute sociali.

E poi anche tra di noi ci sono differenze enormi. Per esempio, tra i dipendenti di Campione ci sono anche quelli che lavorano nel ristorante, mentre a Saint Vincent c’è un hotel i cui dipendenti rientrano nell’organico del casinò. A Sanremo c’è un’intensa attività culturale e di spettacoli, che incide sull’organizzazione generale e, quindi, sui contratti di lavoro.

D. E queste sarebbero le specificità che, anche nell’ipotesi di contratto nazionale, dovranno essere risolte con la singola azienda. Ma davvero con un contratto nazionale i conti dei casinò tornerebbero floridi come prima?

R. Ho detto che quello è il primo punto nel mio programma di presidenza, ma ovviamente abbiamo una situazione generale che andrà risolta con un intervento organico della politica.

D. Cioè, nuove regole sui giochi? Siamo già un Paese “over regulated”, dove le norme si accavallano e le competenze si sovrappongono, cos’altro vorrebbe aggiungere?

R. È proprio questo il problema: quando si creano troppe norme, in realtà si cerca di arginare un problema che non si conosce. Com’è successo con il distanziometro, che è stato impugnato e spesso annullato perché avrebbe avuto un effetto espulsivo da un determinato territorio. E sappiamo che il proibizionismo non ha mai funzionato nella storia.

Nel frattempo, il gioco si è diffuso a un livello tale che è difficile controllarlo. Mentre noi chiedevamo di essere coinvolti proprio i casinò hanno un know how in materia sviluppato in più di 100 anni. Non abbiamo mai dato problemi e mai ne daremo perché abbiamo personale specializzato e formato per individuare i soggetti a rischio di dipendenza; applichiamo le black list per i giocatori problematici, ai quali viene impedito l’ingresso in tutti i casinò italiani. Insomma, conosciamo questo settore e possiamo dire la nostra per gestirlo al meglio.

D. Comunque, le slot sono state appena ridotte del 30% e si punta a eliminarne ancora, fino a lasciarne la metà di quelle che c’erano un anno fa.

R. È come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati: ci sono esercizi commerciali che devono a queste macchine la loro sopravvivenza. Bisogna pensarci prima.

E noi stiamo già dicendo da tempo che bisogna pensare al gioco on line, perché si tratta di un gioco più difficile da controllare.

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