Anche nel Poker si può cercare la presenza di Dio

Ad agosto del 2015, ho intervistato per TS Vincenzo Lardo, professore di filosofia negli istituti superiori, a commento dell’intervista che avevo fatto a un giovane campione di poker, Angelo Patanè, il quale a poco più di 20 anni aveva fatto del poker la sua professione. Sostenuto, peraltro, dalla madre che lo spingeva a dedicarsi agli allenamenti più che allo studio.

Lardo mi ha aiutato a sciogliere qualche dubbio etico: è corretto consentire a uno studente di puntare su un gioco anziché sullo studio? O addirittura incoraggiarlo a giocare per mestiere? 

Domanda. Capita che gli studenti parlino con lei del loro futuro, e magari qualcuno che pensa di diventare giocatore professionista?

Risposta. Molti mi parlano delle loro scelte di vita, ma per fortuna nessuno mi ha mai detto di pensare a un futuro del genere.

Domanda. Lei dice “per fortuna” perché lo considera un progetto scellerato? Anche se poi si utilizzano i proventi di un torneo di poker per pagarsi gli studi?

Risposta. Fondamentalmente è un discorso etico. Dobbiamo pensare che questo ragazzo c’è riuscito ma altri cento non ci riuscirebbero mai. E noi dobbiamo stabilire delle regole generali che, in filosofia come in giurisprudenza, non ammettono eccezioni. Mentre questo studente pokerista è un’eccezione: non si può consigliare a chiunque di seguire questa strada.

Domanda. Quindi, la scelta di questo studente sarebbe da considerare quasi immorale?

Risposta. Dobbiamo anche considerare un altro aspetto: nell’assoluta mancanza di referenti culturali, economici eccetera, non possiamo criticare chi riesce a guadagnarsi da vivere in un modo piuttosto che in un altro. C’è chi sa giocare a poker e chi fa bene il cameriere.

Domanda. Il poker, comunque, è basato soprattutto sull’abilità, le cosiddette skill, non sull’alea, sul caso. E la scuola incoraggia i giovani a rischiare, a mettersi in gioco. In qualche modo, azzardare nella vita. Anche per fare un’impresa, e perfino progettando una carriera professionale, si fa affidamento sulle proprie capacità e su una parte di fortuna.

“in alcune scuole stanno sperimentando
l’insegnamento del gioco in Borsa”

Risposta. Se è per questo, in alcune scuole stanno sperimentando l’insegnamento del gioco in Borsa. Un profano che investe in Borsa, ovviamente rischia a casaccio. Se, invece, uno inizia fin da piccolo a studiare i meccanismi della Finanza, magari facendo qualche simulazione di compravendita di azioni, da grande sarà in grado almeno di valutare la dose di rischio.

Domanda. È più morale rischiare il denaro nella Finanza che a un tavolo di poker?

Risposta. In entrambi i casi abbiamo a che fare con quello che chiamiamo provvidenza, che interviene nella buona riuscita della propria opera.

Domanda. Questo è un concetto religioso.

“se guadagno tanti soldi dimostro che Dio è con me”

 

Risposta. Secondo Max Weber, la religione ha guidato il comportamento nell’economia e nella finanza. Il protestantesimo in generale e il calvinismo in particolare avrebbero contribuito alla nascita dello spirito del capitalismo. Secondo la tesi di Weber, la mentalità religiosa calvinista avrebbe incoraggiato l’intraprendenza negli affari; avrebbe cioè preparato i presupposti culturali che avrebbero favorito la spinta capitalistica verso l’accumulo dei capitali.

La tesi capitalista che discende da questa atmosfera culturale sarebbe: “se guadagno tanti soldi dimostro che Dio è con me”. Il cristiano, invece, vede il denaro come lo sterco del diavolo. Conservare il denaro, capitalizzarlo o comunque giocarci, è qualcosa di immorale.

Domanda. Due approcci opposti all’etica.

Risposta. Sì: uno cerca nel rischio imprenditoriale il segno della presenza di Dio, l’altro invece cerca il segno della presenza di Dio nella solidarietà.

“che differenza c’è tra il rischio al tavolo verde e il rischio d’impresa”

 

Domanda. Ma tornando alla realtà laica, che differenza c’è tra il rischio al tavolo verde e il rischio d’impresa, se in entrambi i casi vengono richieste delle abilità e non solo la fortuna?

Risposta. Noi dimentichiamo l’aspetto della dipendenza. È facilissimo finire sul lastrico per avere perso il controllo.

Domanda. Ma anche un’attività imprenditoriale può portare sul lastrico.

Risposta. Il denaro in sé crea dipendenza. Tant’è che sentiamo gente che guadagna 15mila euro al mese e si lamenta di non riuscire ad arrivare alla fine del mese per le troppe spese: la casa in montagna, il suv, la barca…

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