Così paga le tasse chi raccoglie scommesse senza concessione

Una tassa “punitiva”. Così è stata definita dai giudici tributari di Parma la richiesta del fisco italiano nei confronti di un ctd, centro che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: discriminati al momento del bando per le concessioni, e discriminati adesso al momento di pagare le tasse italiane.
E ancora una volta a decidere dovranno essere i giudici di Lussemburgo. Nel frattempo, cerchiamo di capire meglio la sentenza con l’avvocato che ha presentato il ricorso e (almeno per adesso) ha avuto ragione, Daniela Agnello.

Non è la prima volta che la Corte di giustizia europea si occupa di Stanleybet, ma questa è la prima volta che si parla di tasse: lo scorso 28 novembre, i giudici della Commissione tributaria di Parma hanno ammesso che la richiesta avanzata dall’Agenzia delle Entrate a un ctd Stanley era probabilmente incompatibile con le norme europee. E per questo hanno deciso di rinviare il ricorso ai magistrati del Lussemburgo.

Ma a che titolo l’Unione europea dovrebbe contestare una richiesta del Fisco italiano? E, prima ancora, come fa un ctd a pagare le tasse se raccoglie scommesse senza nemmeno possedere la concessione italiana?
Per chi non sappia bene cosa siano i ctd e per quale motivo operano in Italia senza concessione, ecco una scheda sintetica: Cosa sono i CTD.

Non è semplice capire come questi centri operano e se siano legittimati, tollerati o perseguitati. Ma ancora più complicato è comprendere se e come pagano le tasse in Italia. E di quali tasse si parla?

Ecco in sintesi quali tasse e imposte gravano in Italia sull’attività di scommesse.

Le voci principali sono due*: a) l’imposta unica; b) le tasse sul reddito.

L’imposta unica, o tassa sulle scommesse, è una percentuale del 20% e viene prelevata dal Fisco sul margine lordo: la raccolta meno le vincite. Cioè, se uno scommettitore punta 100 euro e ne perde 20, al fisco ne vengono trasferiti subito 4 (il 20% dei 20 euro che rimangono all’agenzia dopo aver pagato la vincita).

Questa tassa, grava sul bookmaker, cioè su chi organizza la scommessa e si assume il rischio, non su chi si limita a rivenderla al giocatore.

Quindi, le agenzie che lavorano per conto di un concessionario, e perciò non hanno una propria concessione, non dovranno versare l’imposta unica; che, invece, dovrà essere versata dal concessionario.

Le agenzie indipendenti, che operano con una propria concessione, dovranno versare questa imposta unica.

Le tasse sul reddito, invece, vanno versate regolarmente da tutti: le agenzie (indipendenti o concessionarie) e i concessionari.

Si tratta di tasse che vengono versate da chiunque abbia una partita iva, professionisti, piccole società o grandi multinazionali, e che vengono calcolate sulla base del totale: più si guadagna, più alta è l’aliquota, ovvero la percentuale che va al fisco.

Come si comportano i ctd di fronte al fisco?
Loro sostengono di non dover pagare l’imposta unica che normalmente spetta al concessionario. E dato che loro operano senza concessione, l’imposta unica andrebbe chiesta, eventualmente, al bookmaker. Che, però, opera dall’estero. E, quindi, paga le tasse in quel Paese. Nel caso di Stanleybet, a Malta.

L’Agenzia delle Entrate non è affatto d’accordo. Anche perché esiste una norma precisa che fissa una imposta a carico dei ctd più alta, rispetto all’imposta unica pagata dai concessionari. Questa differenza, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe compensare i vantaggi di cui godrebbero i ctd che non hanno fatto la trafila e affrontato i costi della concessione.
I ctd Stanley hanno sempre opposto ricorso ritenendo la richiesta illegittima e, soprattutto, discriminatoria.

E questa volta, i giudici tributari di Parma sembrerebbero aver dato ragione in buona parte alla società anglo-maltese, sia pure rimettendo il giudizio di compatibilità con le norme comunitarie alla Corte di giustizia europea.

*Il fisco preleva anche altre voci relative al costo di una concessione per svolgere l’attività di scommesse, al costo di un diritto per aprire una singola agenzia e così via.

Ecco come spiega la vicenda il legale di Stanleybet, Daniela Agnello, intervistata da Gioel Rigido.

“Un ctd non è un concessionario”

Daniela Agnello, legale dei ctd Stanleybet

Iniziamo dalla Commissione Tributaria di Parma, quali sono i dubbi che ha sollevato?
Ha rilevato che i Ctd chiamati al versamento dell’imposta unica vengono assimilati alla posizione dei concessionari nazionali nonostante l’attività di questi ultimi sia ben diversa. I servizi ausiliari e accessori resi dai centri infatti possono essere assimilati soltanto alle ricevitorie dei concessionari.
Ne consegue che le due categorie di soggetti (a> Ctd affiliato alla Stanleybet Malta; b> ricevitorie del concessionario statale), pur svolgendo la medesima attività, non sono assoggettati allo stesso regime fiscale e subiscono un trattamento discriminatorio rispetto agli operatori nazionali. Un prezzo aggiuntivo per la medesima prestazione di servizi, una sorta di sanzione che li discrimina. Inoltre, la Commissione di Parma ha sottolineato che il caso Stanley è singolare e deriva dai molteplici ostacoli frapposti al suo accesso alle diverse procedure di gara.

Ma la Commissione sembra parlare di un’ulteriore discriminazione, giusto?
Sebbene abbia esaminato degli avvisi di accertamento relativi al 2011-2012, ha chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi anche sull’evoluzione della normativa. Vale a dire che ha sollevato dubbi interpretativi anche in considerazione del sistema introdotto con la legge di Stabilità 2016. Con quella legge, infatti, per i concessionari è stata introdotta la tassazione diretta sul margine; per i Ctd invece è rimasta la tassazione sulla raccolta come previsto dalla legge di Stabilità 2015 che prevede come base imponibile il triplo della media provinciale. Oltretutto, l’imposta richiesta al Ctd si affianca all’imposta unica sul margine che grava sul bookmaker; coesistono dunque due distinti regimi fiscali.
Su questa norma è già intervenuta la Corte Costituzionale, che effetti ha prodotto?
L’Amministrazione ha annullato gli avvisi di accertamento a carico dei titolari dei Ctd per gli anni precedenti al 2011.

Invece Parma interviene su quelli successivi, ci sono già delle ripercussioni?
Dopo l’ordinanza di Parma, diverse Commissioni Tributarie hanno sospeso i procedimenti in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia. Anche la Corte di Cassazione ha rinviato a nuovo ruolo i procedimenti pendenti, ritenendo i quesiti direttamente incidenti sul giudizio.

Quanti sono i ricorsi di fronte alle Commissioni Tributarie?
Penso che siano alcune migliaia, anche perché lo stesso centro può aver ricevuto diversi avvisi di accertamento, uno per ogni anno di attività.

La Cassazione, sono passati diversi anni ormai, disse che si rischiava di creare una discriminazione al contrario, con Stanley che ormai si trova in una situazione di privilegio rispetto ai concessionari. Con la norma sulla tassazione probabilmente si puntava anche a rimettere le cose in pari. Solo che – il problema è speculare a quello delle quote rosa – si cerca di correggere una discriminazione con un’altra discriminazione…
Come ha detto il Consiglio di Stato, occorre una gara in cui i competitor possano partire dallo stesso nastro di partenza.

Le colpe del bookmaker (estero)
ricadono sull’ex Ctd (italiano)

Ci sono una serie di ex-Ctd – non collegati a Stanley – che stanno ricevendo adesso le cartelle esattoriali o gli accertamenti di alcuni anni fa. Il problema è che non hanno più rapporti con il bookmaker. Che rischi corrono?
Bisogna fare riferimento alla situazione concreta e verificare caso per caso come i due soggetti hanno regolato i rapporti tra di loro.

Questo vuol dire che non sono necessariamente tutelati, e quindi c’è il rischio che alla fine siano loro a dover pagare il conto?
L’imposizione fiscale nei confronti dei Ctd appare in contrasto con i principi eurounitari. Intravedo molte similitudini con i sequestri e le migliaia di procedimenti penali avviati nei confronti degli stessi centri. Tutti questi procedimenti poi si sono conclusi con la disapplicazione della normativa italiana.

Ci vorrà del tempo, e in ogni caso non è la stessa cosa. Nel caso della norma penale, il titolare del centro viene punito per l’attività che ha svolto. In questo, invece, deve pagare le tasse sulle somme che ha incassato il bookmaker, e non c’è alcuna proporzione con l’aggio che ha percepito lui…
Attendiamo l’esito della domanda di quesiti pregiudiziali sollevata dai giudici di Parma, con la consapevolezza che serve un principio di diritto certo e unico fondato sul diritto eurounitario e sui principi di parità di trattamento e non discriminazione.

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