“Mettiamo le slot al museo: un cretino che gioca, almeno guarderà un Mantegna o un Tiepolo”

È una provocazione, nel suo stile, ma rende bene l’idea: per il deputato e critico d’arte Vittorio Sgarbi, limitare il gioco e ridurre gli orari dei musei sono la stessa cosa.

In un intervento del 2 agosto scorso alla Camera, Vittorio Sgarbi ha criticato aspramente due provvedimenti del Governo, apparentemente del tutto slegati: il divieto di pubblicità del gioco e l’abolizione delle aperture gratis nei musei una volta al mese. La sua proposta provocatoria è stata di mettere le slot machine nei musei: “Così se uno vuol buttare dei soldi in una slot, almeno butta un occhio a un Tiepolo o un Botticelli”.
Proprio a seguito di questa presa di posizione, l’istituto Milton Friedman, un centro studi che si ispira a principi di libertà e di liberismo, lo ha invitato a entrare a far parte del suo comitato scientifico.

Ma cosa c’è dietro la provocazione di una slot machine dentro una pinacoteca?

Domanda. Scusi, onorevole, ma a parte il gusto della provocazione, cosa c’entrano i musei con le slot machine? E secondo lei è più grave ridurre le aperture dei musei o vietare il gioco?
Risposta. C’è una sovrapposizione tra i due temi. In fondo, far pagare un museo è talmente indecoroso che lo considero un gioco d’azzardo: io devo pagare per vedere qualcosa di bello? Loro proibiscono la pubblicità del gioco d’azzardo in cui uno è disponibile a mettere danaro spontaneamente, e poi te ne chiedono là dove tu dovresti essere garantito di non metterlo?!

D. Ma lei gioca, anche occasionalmente?
R. No, io non gioco, così come non fumo. Però sono perché ognuno sia libero di giocare, fumare e anche drogarsi, se preferisce. Non riesco a immaginare come lo Stato possa intervenire per castigare quelli che si ritengono vizi. Non riesco a capire perché si debba sindacare su come una persona vuole spendere i propri soldi. Anche se li vuole spendere al casinò.

D. Il provvedimento del ministro Di Maio ha avuto molte critiche dalle opposizioni, tranne che nel passaggio del divieto alla pubblicità sul gioco. Perfino il Pd, che si è scagliato contro tutte le norme sul lavoro, su questo divieto ha detto “non è sufficiente, ma è un buon inizio”. Come spiega questo consenso quasi unanime?
R. C’è un conformismo generale che non rientra nelle appartenenze politiche ma nell’incapacità di pensare. Si è diffusa l’idea che sia giusto cercare di aiutare le persone a non avere vizi. Mi pare una cosa grave come se uno pensasse di guarire l’omosessualità. Una volta la si considerava una malattia, oggi dire che un omosessuale è un malato è un’eresia. Invece, viene considerato una malattia il vizio del gioco, che invece è semplicemente una inclinazione.

D. Quindi, secondo lei è iniziata un’onda che ha portato tanti a dire che il gioco è una cosa negativa, e allora tutti, per semplice conformismo, si sono uniti al coro ripetendo “combattiamo il gioco”?
R. Esattamente. Come è stato per tanto tempo con l’omosessualità. L’omosessualità è riuscita a cavarsela, il gioco no. Eppure, prenderlo nel culo non è certamente meglio che andare a giocare. Non vedo la grande soddisfazione a quella pratica, ma non vedo nemmeno perché debba impedirlo a uno che lo trova divertente.

D. Però, anche ragionando in termini di consenso elettorale, i conti non tornano. Perché alcune indagini dicono che per la gente comune, quindi per gli elettori, il problema della dipendenza da gioco arriva molto dopo altre dipendenze, come l’alcool, le sostanze e perfino lo shopping compulsivo e Internet. Quindi, che vantaggio avrebbe il politico a condurre una battaglia che la gente, in fondo, sembra non condividere?
R. È una cosa bizzarra. L’idea moralistica è che la legge debba sanzionare i vizi privati. Mentre io invece credo che la legge dello Stato non si debba sovrapporre alla legge morale.

D. I cattolici hanno un ruolo in questa vicenda?
R. Beh, i cattolici vanno sempre bene per vietare. Se uno pensa che i cattolici si sono inventati il peccato di scopare! Una cosa incomprensibile, perché non si riesce proprio a capire perché debba essere un peccato, eppure è presente in almeno due comandamenti. Certo che hanno avuto un ruolo in quest’onda moralista.

D. Nella stesura di questo provvedimento, il ministro del Lavoro non ha ascoltato alcuna organizzazione di categoria, né degli imprenditori né dei lavoratori del settore del gioco legale. Eppure, tra le conseguenze c’è anche la perdita di posti di lavoro.
R. Mi sembra una sciocchezza e una forma di insensibilità grave. Ma attualmente abbiamo persone che non usano bene il cervello.

D. Ma questo non potrebbe provocare perdita di consensi?
R. Forse. Ma mi sembra che quasi niente di quello che viene fatto nel nostro tempo sia degno di lode. Vedo solo una gran quantità di scemenze, una dietro l’altra.

D. Il suo è stato forse l’unico intervento critico nei confronti di questo provvedimento, ma in generale nei confronti di una politica moralista e proibizionistica. Cosa si dovrebbe fare sul piano politico per far sentire voci diverse?
R. Beh, non c’è più il Partito Radicale, quindi si possono solo fare delle battaglie individuali. Io faccio le mie e in Parlamento sono l’unico che viene ascoltato da tutti. Come ho detto al discorso per la fiducia: dove c’è disordine e ignoranza, io prospero. Loro vanno avanti, fanno le loro sciocchezze, e a un certo punto io mi alzo e li stango. Dopo di che, è vero che non abbiamo una forza politica sufficiente a contrastare questo mondo di moralismo, quindi li ridicolizziamo. Li prenderemo per il culo!

 

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