Ora spuntano anche i giochi “obbligatori” di abilità…

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NORMATIVA E GIURISPRUDENZA

Non ci sono solo i giochi vietati nei locali pubblici. Esistono anche i giochi obbligatori. Anche se la norma non è tra le più conosciute, a Pisa sembrano conoscerla bene gli agenti della Polizia locale che l’hanno applicata ad una sala scommesse: 1.000 euro di multa. Subito contestati dal titolare della sala, Maurizio Ughi (in foto), secondo il quale la norma non si applica alle sale scommesse.
Ma cosa dice, in sostanza, questa norma e perché ci dovrebbero essere dei giochi obbligatori? Si tratta, come informano dall’Agenzia dogane e monopoli interpellata da “La Scommessa-TS”,di un decreto interdirettoriale del 2003 che all’articolo 3 dice «…l’offerta complessiva di gioco tramite apparecchi o congegni non deve riguardare esclusivamente l’installazione, nei limiti quantitativi di cui agli stessi commi, degli apparecchi o congegni previsti dall’art. 110, commi 6 e 7, lettera b), del T.u.l.p.s.». Traducendo: oltre agli apparecchi di gioco con vincita in denaro, devono essere presenti anche altri tipi di giochi. «Lo spirito della legge – prova ad interpretare lo stesso Ughi – è che se una persona entra in un bar che offre anche dei giochi, deve poter scegliere di giocare senza rischiare denaro. Quindi, al biliardino o alle freccette. Ma quest’obbligo riguarda solo i locali cosiddetti promiscui. Quelli per i quali il gioco non è un’attività principale, come i bar. Mentre a Pisa hanno multato una sala scommesse che offre esclusivamente gioco».
Interpellati per capire se poteva esserci stato un fraintendimento della norma, alla Polizia locale di Pisa hanno risposto che «stanno valutando, alla luce della giurisprudenza, quanto affermato dal titolare».
Comunque vada a finire, rimane il dubbio che questa norma sia realmente poco conosciuta e, di conseguenza, poco applicata. Anche se molti bar hanno da qualche parte le freccette, che magari non usa nessuno: solo nei pub che cercano di ricreare l’atmosfera irlandese si trovano degli italiani che ogni tanto si
esibiscono con questo tipico passatempo britannico.


IL COMMENTO
Matteo Iori (Conagga): «Certe leggi sono ridicole e anacronistiche»

Ma si può considerare efficace una norma come quella applicata a Pisa? “La Scommessa-TS” lo ha chiesto a Matteo Iori, presidente del Conagga,
Coordinamento nazionale gruppi giocatori d’azzardo, impegnato da sempre nella prevenzione dell’azzardo patologico. «Quella della multa emessa verso l’esercente che gestisce il punto Snai di Pisa – dice Iori – è solo uno dei paradossi legislativi del nostro Paese sul gioco d’azzardo. Trae origine da una legislazione che, decenni fa, individuava il gioco d’azzardo come un rischio per la società e andava disincentivato. In quest’ottica i giochi d’azzardo dovevano essere solo giochi secondari e aggiuntivi rispetto a quelli che un esercente poteva proporre, e altri giochi andavano fortemente monitorati. Non a caso, in tutti i bar è appesa una tabella del questore che elenca tutti i giochi proibiti: all’interno dei quali troviamo molti giochi di carte tipici di molti paesi italiani. In pratica, per la nostra legge, se le forze dell’ordine entrassero in un bar e vedessero persone anziane sedute a un tavolino che giocano a carte a fianco di altre che spendono centinaia di euro agli apparecchi, dovrebbero fare accertamenti su quelli seduti al tavolino…».
«Negli ultimi due decenni – conclude Matteo Iori – lo Stato ha inquadrato il gioco d’azzardo in modo molto diverso: più come un’occasione per riscuotere denari che come un rischio per la società, e fa sorridere pensare che vi siano ancora certi limiti di legge a cui gli esercenti devono sottostare. È un po’ come se lo Stato incentivasse le enoteche ad aprire, ma le obbligasse ad avere anche del latte fresco da servire nel caso di richiesta. Personalmente sul gioco d’azzardo apprezzavo di più la visione fortemente limitante che lo Stato aveva un tempo, ma credo che non si possano non trovare ridicole e anacronistiche certe leggi a cui oggi gli esercenti devono sottostare, all’interno di una grossa ipocrisia statale».

 

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