Formazione obbligatoria per i gestori del gioco: poche le Regioni promosse

Quasi tutte le leggi regionali sull’azzardo prevedono un obbligo formativo per chi gestisce i punti gioco, compresi bar e tabaccai che ospitano macchine con vincita in denaro. L’obiettivo dichiarato è di spiegare loro come ridurre i rischi di dipendenza.

Ecco perché la competenza di queste norme ricade, di solito, sugli assessorati che si occupano di problematiche come Salute, Politiche sociali e simili. Di conseguenza, quello che i gestori di una sala giochi dovranno imparare in aula riguarda proprio l’aspetto patologico: come riconoscere un giocatore a rischio e come relazionarsi con lui per aiutarlo; magari, suggerendogli strutture e professionisti adeguati a cui rivolgersi.
In fondo, è un po’ quello che un barista fa quando si trova davanti qualcuno che beve un po’ troppo.

Domenico Faggiani

“Però, a differenza del barista, che può rifiutare una grappa al cliente già brillo, un gestore di sala giochi non può rifiutare di far giocare chi manifesta segnali preoccupanti” dice Domenico Faggiani, componente dell’Osservatorio sul gioco della Regione Lazio, in corso di rinnovo, e referente per il gioco di Legautonomie.

“Io ho fatto molta formazione, tra l’altro, alle Polizie Locali, dove i contenuti riguardano soprattutto la normativa. Ma se lo scopo delle Regioni è di spiegare a chi gestisce attività di gioco come individuare e aiutare i giocatori a rischio, manca il passaggio finale: come impedirgli di continuare a giocare. Certo, il gestore può mettere in atto delle pratiche dissuasive. Ma una persona con dipendenza, o anche solo a rischio, ha dei comportamenti che solamente un professionista sanitario può riuscire a gestire. E non sarebbe nemmeno semplice per lui segnalare il giocatore a strutture qualificate: rischierebbe di subire delle ritorsioni e, magari, di perdere gli altri clienti; quelli che invece giocano senza problemi”.

Di fatto, comunque, la Lombardia è stata la prima, già 10 anni fa, ed è oggi tra le poche ad avere implementato la norma e, quindi, a imporre un corso di formazione, che

Immagine dal sito https://dgaonline.regione.lazio.it/dgaonline/esercente/

prevede anche un aggiornamento ogni tre anni. La Regione Lazio, invece, ha stanziato una cifra di 100mila euro per finanziare questa formazione. Il che vuol dire che, i gestori di sale giochi lombardi devono pagarsi questa formazione, sia pure a prezzi imposti dalla Regione (non oltre 50 euro); per chi lavora nel Lazio, invece, la formazione sarà del tutto gratuita. Quando partirà, ovviamente. Perché attualmente quest’obbligo è solo sulla carta.

Il problema è che ogni legge nella quale è previsto quest’obbligo, rimanda poi a una delibera attuativa che deve contenere tutti i dettagli su chi dovrebbe erogare la formazione, con quali contenuti, con quali modalità”.

A parlare così è Francesco Badolato, avvocato e consulente di Sapar, associazione che riunisce gestori e noleggiatori di macchine da gioco.

“C’è anche da dire che ad esempio in Piemonte, quando si dovesse mettere in pratica quest’obbligo, per gli inadempienti sono previste delle misure che appaiono quanto meno una forzatura. A parte le sanzioni pecuniarie, sulle quali non discuto, è stabilito che vengano sequestrati gli apparecchi in caso di reiterazione, si parla infatti di “chiusura definitiva” degli apparecchi. Quindi, se il gestore di un’attività viene trovato più volte senza l’attestazione che ha frequentato il corso obbligatorio, le autorità di controllo possono portargli via le macchine. Questo è giuridicamente insensato. Per almeno due ragioni. In primo luogo, si tratterebbe di sequestrare dei beni che nella maggior parte dei casi non sono di proprietà del trasgressore, dato che appartengono al noleggiatore. E, comunque, questa tipologia di sequestro sembra finalizzata alla confisca, misura che le leggi prevedono per qualcosa che è stato utilizzato ai fini del reato o dell’illecito proprio perché attiene ad una pericolosità intrinseca dell’oggetto che in questo caso ovviamente non c’è. Infatti chi, eventualmente, trasgredisce l’obbligo di frequentare un corso obbligatorio non lo fa certo utilizzando le slot. È in altri termini un “non sense” giuridico parlare di “chiusura definitiva” degli apparecchi in questi casi. E infatti, facendo appello ai principi generali delle sanzioni amministrative, dovrebbe essere possibile chiedere il dissequestro con l’impegno dello spostamento dell’apparecchio in altro locale o quando sia soddisfatto l’obbligo formativo”.

Ma tralasciando per adesso questo aspetto, che potrà eventualmente essere rivisto in seguito, qual è lo spirito di quest’obbligo formativo? A cosa dovrebbe servire?

Il modello lombardo è una formazione a dir poco sommaria e, certamente, non approfondita. In quattro ore, che sono quelle previste per legge, i docenti devono parlare di normativa e di patologia. Con che risultati? Press Giochi lo ha chiesto a Gabriele Cartasegna, direttore del Capac Politecnico del commercio e del turismo, la struttura di Confcommercio dedicata alla formazione.

“Dalla scorsa estate a oggi abbiamo formato circa 600 operatori a Milano e provincia. E ciascuno di loro ha pagato 40 euro per il primo corso e appena 20 euro per l’aggiornamento triennale. Cifre politiche, con le quali spesso andiamo in perdita”.

E quale efficacia hanno questi corsi?

“A parte il test di verifica finale, noi chiediamo una valutazione, come facciamo per tutte le nostre iniziative; ma non entriamo nello specifico degli argomenti trattati” dice Cartasegna “perché ci interessa soprattutto avere un giudizio sulla nostra organizzazione. D’altra parte, non abbiamo alcuna possibilità d’intervenire: mentre per quelli sull’antinfortunistica o sulla privacy, che pure sono obbligatori, noi scegliamo i docenti che riteniamo più qualificati e ci preoccupiamo che siano chiari ed esaustivi, in questo sul gioco patologico dobbiamo prendere i docenti da un elenco ristretto di persone accreditate dalla Regione Lombardia e che lavorano nelle Ats (le aziende sanitarie secondo la denominazione della Lombardia ndr.). E non possiamo nemmeno suggerire gli argomenti, che sono stabiliti dalle direttive regionali. Certo, in quattro ore non si può pretendere di spiegare temi così complessi. Penso che dopo 10 anni, le stesse aziende sanitarie dovrebbero fare una verifica su quanto abbia funzionato questa legge e se non sia il caso di rivederla”.

Molto diversa la situazione dell’Emilia Romagna, dove il corso dura ben 13 ore delle quali cinque dedicate agli aspetti normativi e il resto alla parte socio-sanitaria, trattata da esperti delle Asl.

Tra i docenti, Isabella Rusciano, avvocato specializzato e consulente di As.Tro, associazione di operatori di gioco.

“Come associazione di categoria siamo molto favorevoli a queste occasioni formative” dice a Press Giochi “anche se sappiamo che, per esempio, due giornate dedicate al gioco patologico sono solo uno spunto: imparare a riconoscere e gestire i clienti problematici non si impara dall’oggi al domani, ma è importante avere delle basi e sviluppare una sensibilità al tema. Noi stessi, poi, realizziamo molte iniziative formative per i nostri soci e i loro collaboratori”.

Ma cosa ne pensano le aziende che devono applicare questa disposizione?

“In molti casi, le leggi rimandano l’organizzazione ai Comuni” risponde Domenico Distante, presidente di Sapar “che spesso non sono in grado di svolgere questo compito. E tutto si ferma lì. I nostri associati fanno molta formazione per i propri dipendenti, soprattutto su temi delicati come l’antiriciclaggio o la privacy. Ma sono corsi anche di 10 ore in un solo mese”.

Le aziende, quindi, si occupano della formazione interna spontaneamente e con iniziative ben più impegnative e articolate di quanto previsto dalle varie Regioni.

“La nostra casa madre ha organizzato una piattaforma per formare i dipendenti del gruppo in tutto il mondo” spiega Imma Romano, di Codere Italia “e riguarda i temi del gioco responsabile, con tutto quello che è il rapporto con il gioco, le tipologie di clienti, l’approccio da tenere con loro eccetera. In Italia, invece, abbiamo una piattaforma rivolta non solo ai dipendenti ma anche a partner, gestori ed esercenti, che prevede quattro moduli dedicati agli aspetti amministrativi e legali e un’altra parte che riguarda il gioco patologico, concentrata sulla comunicazione verso il cliente”.

Da alcuni anni, Codere Italia collabora anche con alcune Asl, come quella di Torino 3, dove sanitari e personale di sala si sono incontrati più volte per scambiarsi esperienze e mettere meglio a fuoco le modalità per individuare per tempo i giocatori a rischio, ed aiutarli. Anche con altre Asl sono state avviate delle forme di collaborazione, ma non tutte sono attrezzate per organizzare delle azioni concrete in termini di formazione.

Questo non è certamente l’unico esempio, anche se altri operatori sono più spesso impegnati a fare formazione di carattere normativo, che comunque richiede un continuo aggiornamento.

Facebooktwitterlinkedinmail