Inutile vietare la pubblicità: piuttosto, il gioco investa sulla prevenzione

Matteo Biffoni, sindaco di Prato e presidente Anci Toscana

Il gioco d’azzardo continua a preoccupare e creare allarme soprattutto nella politica territoriale. Ma quando si parla di pericoli vi riferite a tutto il gioco o al gioco patologico?
Al gioco patologico, non c’è dubbio. L’uomo ha sempre giocato. Io stesso, quando gioco con gli amici, magari d’estate al mare, trovo più divertente se ci si gioca il caffè come premio anziché non giocarsi nulla. Il Mercante in Fiera o la tombola dell’ultimo dell’anno li fai sempre con qualche soldino in palio. I casinò, poi, sono sempre esistiti e sono luoghi autorizzati e consentiti da parte degli Stati, non solo quello italiano, perché il gioco fa parte del dna della gran parte delle persone. Purché sia un azzardo misurato. Perché il problema è la patologia. Il problema è quando diventi dipendente. Quando la tua testa non fa altro che cercare il modo per andare a giocare alla macchinetta o scommettere o grattare compulsivamente un tagliando. Questo è il punto di rottura. Anche perché questa è un’attività autorizzata dallo Stato Italiano, così come le sigarette e l’alcool, nella quale sono previste regole e limiti nel rispetto delle leggi. Se il gioco è autorizzato, non si può decidere di tirare giù una saracinesca chiudere un’attività. Si può, piuttosto, evitare che la gente si ammali.

Lo Stato autorizza il gioco ma potrebbe anche cambiare idea, dire che la legalizzazione non ha funzionato e voler tornare di divieti. Nonostante, poi, all’estero stiano copiando le leggi italiane. Quindi, a quanto pare sono abbiamo fatto un lavoro legislativo migliore addirittura di quello che hanno fatto all’estero.
Sono d’accordo. Si può anche decidere di proibire, ma è poco realistico perché ognuno di noi, a casa, può attaccarsi a Internet o giocare con lo Smartphone magari su un sito che ha sede a Taiwan.
Altrimenti, e credo che sia la cosa più saggia, si deve fare in modo che gli enti locali, sui quali poi si scaricano i problemi dei ludopatici, abbiano gli strumenti per ridurre al minimo il rischio di ammalarsi.

Controlli in un laboratorio cinese alla ricerca di una bisca clandestina

Lei è sindaco di Prato. E a Prato c’è una grande presenza di cinesi, che sono culturalmente grandissimi giocatori, e c’è anche una oggettiva difficoltà a controllare l’illegalità. Come amministratori locali, che strumenti avete per fronteggiare le derive patologiche e le infiltrazioni della criminalità in quest’ambito?
Regolamenti stringenti. Regolamenti con i quali limitare il più possibile le distanze dai luoghi sensibili che sono sicuramente le scuole ma anche i centri civici, le parrocchie, gli ospedali. E anche il bancomat che è proprio il comune di Prato si è inventato per ragioni logiche: evitare che il giocatore, così come può fare con i Compro Oro, abbia la possibilità di andare a prendere soldi da buttare nel gioco.
E poi la battaglia sulla modulazione degli orari per la quale Firenze è stata un’apripista. Ma facciamo anche formazione e prevenzione nelle scuole. Per esempio, per spiegare quali sono i limiti.

Lo dice col tono di chi si deve “accontentare”. Ma che cosa ci vorrebbe di diverso per potere operare in maniera davvero efficace?
Il problema va risolto in ambito statale. Se prendo un panino in Autogrill e come resto mi offrono un gratta e vinci, si alza il livello del rischio. Si spinge la diffusione. E non si tratta più di un gratta e vinci comprato occasionalmente ma di un metodo per farne comprare il più possibile è il più spesso possibile.
Trovo una contraddizione che grandi società di scommesse sponsorizzino importanti società sportive. L’approccio dovrebbe essere di tipo culturale, come abbiamo fatto per le sostanze stupefacenti.

Il divieto di pubblicità serve o magari sarebbe stato più efficace una regolamentazione stringente come per esempio c’è per l’alcool?
Io penso a quella frase finale “il gioco crea dipendenza” che secondo me deve essere ben scandita. Non vietare il gioco, sicuramente, perché altrimenti sarei ipocrita, e secondo me nemmeno vietare la pubblicità. Secondo me, una parte di quella massa di denaro che viene generata dal gioco dovrebbe andare a finanziare corsi di educazione, quindi prevenzione, e attività di recupero dei giocatori patologici.

Nel convegno di fine febbraio, tra le tante voci presenti mancavano gli operatori.
Non li abbiamo invitati perché non vogliamo metterli in difficoltà perché alla fine sono persone che generano posti di lavoro, pagano gli stipendi che io non voglio demonizzare. Non voglio che vengano qui e si vedano il dito puntato contro per essere accusati di chissà cosa. Loro hanno una responsabilità enorme. Quando si dice, per esempio, che un esercente non deve dare da bere a un minorenne si assume una responsabilità. E la stessa cosa avviene con il gioco.

Voi avete fatto una formazione specifica per gli operatori di gioco per tutti coloro che lavorano nelle imprese che offrono gioco al pubblico
Certo che sì. L’abbiamo fatto come Anci e l’abbiamo fatto anche al Comune di Prato.
Sono venuti in tanti, almeno a Prato, anche se in quel momento non era ancora obbligatorio partecipare. E questo è un segnale molto buono perché sono certo che loro fanno un lavoro legittimo e lo possono anche fare bene. Il problema è naturalmente nazionale non si può colpevolizzare il tabaccaio che è un’attività che esiste dalla notte dei tempi, legalizzato e autorizzato dallo Stato. Bisogna dare loro lo strumento per capire se una signora che viene tutti i giorni magari spende la metà della sua pensione sociale nel gioco deve capire a individuare il problema è sapere come affrontarlo.

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